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"Per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia"

(Sergio Mattarella)

 

Le tappe dell’esodo giuliano dalmata

La legge n.92 del 30 marzo 2004 ha ufficialmente istituito il Giorno del Ricordo, ovvero una giornata di commemorazione civile, fissata il 10 febbraio, dedicata a una delle più drammatiche vicende italiane del secondo dopoguerra: l’esodo giuliano dalmata e il massacro delle foibe.

La data celebra la memoria di un’intera popolazione costretta dagli eventi storici ad esiliare dai confini dell’Italia orientale per sfuggire alla pulizia etnica attuata dal governo comunista jugoslavo.

 

Esodo istriano: origini e conseguenze

Gli eventi dai quali ha origine l’esodo istriano sono identificati nella caduta del regime fascista di Mussolini, con il successivo scioglimento del relativo Partito, e la dissoluzione delle Forze Armate.

Nelle regioni balcaniche confinanti con l’Italia le forze comuniste di Josip Broz, detto ‘Tito’, prendono il sopravvento sui territori di Croazia e Slovenia.

Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 esplode la prima ondata di violenza. I partigiani di Tito si vendicano dei fascisti, colpevoli di aver condotto su quegli stessi territori una politica di italianizzazione piuttosto violenta, gestita con metodi discutibili nel periodo a cavallo tra le due guerre.

I fascisti e gli italiani ostili al comunismo diventano nemici da eliminare; inizia così il massacro delle foibe. Migliaia di persone vengono gettate nelle cavità carsiche, tipiche della Venezia Giulia, utilizzate in precedenza anche dai fascisti per eliminare gli avversari politici.

Dopo una fase di resistenza da parte dei tedeschi, con la caduta del Terzo Reich, il IX Korpus di Tito occupa l’Istria e la Dalmazia; siamo nel maggio del 1945.

Il nuovo governo comunista si accanisce nuovamente contro gli italiani. Il processo di eliminazione si svolge attraverso un’esecuzione a dir poco atroce, che vede i condannati a morte legati l’uno all’altro, con un fil di ferro stretto intorno ai polsi, attendere la propria fine sugli argini delle foibe.

L’avvio della strage di massa è innescato da un mitra che spara a raffica sui primi tre o quattro componenti della catena umana, i quali precipitando nelle cavità trascinano con loro il resto dei condannati.

Per i sopravvissuti alla caduta la sofferenza è inimmaginabile: costretti ad attendere la propria inevitabile fine sui cadaveri dei compagni e tra sofferenze fisiche indicibili.

Con il Trattato di Parigi, firmato il 10 febbraio 1947, la Jugoslavia ottiene l’Istria, Fiume, Zara, la Dalmazia e le isole del Quarnaro, per cui inizia a dedicarsi con maggiore forza alla ‘gestione’ degli italiani sui territori conquistati.

L’intento di Tito si palesa chiaramente in una strategia che mira ad un’integrazione subordinata degli italiani ritenuti meritevoli; tutti gli altri, ovvero quelli di determinate classi sociali e quelli contrari all’annessione, sono da espellere in quanto non integrabili nello Stato jugoslavo. Si tratta ovviamente della maggioranza, per la quale inizia un tragico esodo innescato dalla speranza di allontanarsi da un clima di terrore e incamminarsi verso condizioni di vita migliori.

Le stime attuali rivelano che dal 1944 al 1958 più di 250.000 persone furono costrette ad abbandonare le proprie case e le proprie terre, al confine orientale con l’Italia, per cercare fortuna altrove.

Gli esuli arrivati in Italia non vengono accolti in maniera benevola; al contrario, la maggior parte viene confinata in campi profughi allestiti all’interno di caserme, scuole e strutture di vario genere. Oltre ai numerosi disagi pratici, gli esuli giuliano-dalmati sono costretti a sopportare l’atteggiamento ostile dei connazionali.

Per molto tempo eventi come il massacro delle foibe e l’esodo istriano sono stati in un certo senso silenziati, per motivi di natura culturale, ideologica e politica.

 

Il ‘treno della vergogna’

Dell’anno 1947 viene ricordato un episodio passato alla storia come il ‘treno della vergogna’. L’episodio riguarda alcuni esuli provenienti da Pola che sbarcarono ad Ancona per poi proseguire il viaggio in treno fino a La Spezia.

Durante la prima sosta sul territorio italiano gli esuli non ricevettero la solidarietà che si aspettavano; la gente del posto, convinta che si trattasse di fascisti in fuga, riservò agli ‘stranieri’ connazionali un’accoglienza fredda e ostile, al punto che si rese necessario l’intervento dei militari.

Da Ancona il viaggio proseguì a bordo di un treno merci. Presso la stazione di Bologna la Croce Rossa Italiana e la Pontifica Opera di Assistenza avevano predisposto un pasto caldo, ma la sosta saltò a causa di una sassata contro i convogli organizzata dai ferrovieri comunisti per impedire la fermata in stazione del cosiddetto ‘treno dei fascisti’.

Il treno fu quindi costretto a ripartire per Parma, dove finalmente i profughi, tra i quali tanti anziani e bambini, riuscirono a ricevere assistenza e qualche pasto prima di raggiungere definitivamente La Spezia.